Se sei un privato, una persona fisica e fino ad oggi hai considerato  le imprese avvantaggiate dal fatto di poter acquisire immobili con il leasing giovandosi dei benefici fiscali che tale contratto permette, sappi che fino al 2020 anche tu hai questa possibilità.

Le novità introdotte dalla legge di stabilità 2016, infatti, hanno previsto incentivi fiscali sull’acquisto o la costruzione di immobili da adibire ad abitazione principale. Lo scopo è quello agevolare, specie per i più giovani, l’acquisto dell’abitazione principale attraverso lo strumento del cd. leasing immobiliare quale innovativo canale di finanziamento rispetto all’ordinario strumento del mutuo ipotecario.

Con il contratto di locazione finanziaria la banca o l’intermediario finanziario autorizzato da Banca d’Italia si assumono l’obbligo di acquistare o di far costruire l’immobile in base alle esigenze dell’utilizzatore, il quale, a fronte di un canone da corrispondersi periodicamente, lo riceve in uso per un determinato periodo di tempo. Dopodiché, una volta scaduto il contratto, l’utilizzatore può riscattare la proprietà del bene pagandone il prezzo come stabilito da contratto. In caso di risoluzione del contratto di  locazione  finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore, il concedente  ha  diritto  alla restituzione del bene ed è tenuto a  corrispondere  all’utilizzatore quanto ricavato dalla  vendita  o  da  altra  collocazione  del  bene avvenute a valori di mercato, dedotta la somma dei canoni  scaduti  e non pagati fino alla data della risoluzione,  dei  canoni  a  scadere attualizzati e  del  prezzo  pattuito  per  l’esercizio  dell’opzione finale di acquisto. L’eventuale differenza negativa è corrisposta dall’utilizzatore al concedente.

La legge n. 208/2015 all’articolo 1 commi 76-84 (cd. Legge stabilità 2016) ha introdotto una disciplina fiscale che incentiva gli acquisti dell’abitazione mediante il contratto di locazione finanziaria cd. Leasing immobiliare effettuati entro il 31 dicembre 2020. Tra le detrazioni fiscali a favore dell’utilizzatore viene ora riconosciuta una detrazione dall’Irpef lorda di un importo pari al 19% dei “canoni e relativi oneri accessori” e del “costo di acquisto a fronte dell’esercizio dell’opzione finale” (c.d. prezzo di riscatto) derivanti da contratti di locazione finanziaria su unità immobiliari, anche da costruire, da adibire ad abitazione principale entro un anno dalla consegna. A seconda dell’età al momento della stipula del contratto di locazione finanziaria dell’utilizzatore vi sono delle differenze:

  • per i giovani di età inferiore ai 35 anni la detrazione Irpef del 19% compete per un importo non superiore a 8.000 euro per i canoni e i relativi oneri accessori del leasing, mentre per il costo di acquisto dell’immobile a fronte dell’esercizio dell’opzione finale la detrazione compete per un importo non superiore a 20.000 euro;
  • per coloro che hanno 35 anni o più la detrazione Irpef del 19% compete per un importo non superiore a 4.000 euro per i canoni e i relativi oneri accessori del leasing, mentre per il costo di acquisto dell’immobile a fronte dell’esercizio dell’opzione finale la detrazione compete per un importo non superiore a 10.000 euro.

Condizione ulteriore per beneficiare della detrazione fiscale e valida a prescindere dall’età anagrafica è avere un reddito complessivo non superiore a 55.000 euro all’atto della stipula del contratto di locazione finanziaria e non essere titolari di diritti di proprietà su immobili a destinazione abitativa.

Si noti come la detrazione riguardante i canoni e i relativi oneri accessori e quella del costo di acquisto sono tra loro cumulabili qualora il contribuente effettui i relativi pagamenti nello stesso periodo di imposta. [1]

La guida del Ministero dell’Economia e delle Finanze del marzo 2016 ha precisato che per beneficiare della detrazione fiscale è sufficiente che nell’abitazione vi abiti anche solo un familiare dell’utilizzatore (coniuge, parenti entro il terzo grado o affini entro il secondo grado).[2] Inoltre, tali agevolazioni fiscali prescindono dalle caratteristiche oggettive dell’immobile e spettano per qualsiasi abitazione anche se appartenente alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (queste ultime escluse invece dalle agevolazioni “prima casa” per l’imposta di registro).

A tutela dell’utilizzatore ai sensi del comma 79 dell’art. 1 della Legge di stabilità vi è la possibilità di richiedere la sospensione del contratto in caso di perdita del lavoro sia derivante da rapporto subordinato, sia dai rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale e da altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La sospensione del contratto non è però prevista nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa. Al termine della sospensione, il pagamento dei corrispettivi periodici riprende secondo gli importi e con la   periodicità originariamente previsti dal   contratto,  salvo   diverso   patto eventualmente intervenuto fra le parti per  la  rinegoziazione  delle condizioni del contratto medesimo.

Ma quali sono i vantaggi del leasing immobiliare rispetto alla stipula di un mutuo ipotecario?

Come abbiamo detto, gli under 35 che stipulano un contratto di locazione finanziaria hanno una detrazione fiscale del 19% fino a un importo massimo dei canoni di 8 mila euro l’anno, mentre, nel caso del mutuo la detrazione del 19% è per un importo massimo di euro 4 mila e riguarda la sola quota degli interessi passivi.

Inoltre, a parte il maggior valore finanziato rispetto al mutuo, nel leasing non si paga l’imposta sostitutiva (0,25%) che, invece, si versa sul mutuo.

[1] FORTE, “Legge di stabilità 2016, leasing prima casa: vantaggi fiscali cumulabili”, in Ipsoa Quotidiano del 12 gennaio 2016.

[2] CERATO S., “La disciplina fiscale del contratto di leasing per l’acquisto della abitazione principale: imposizione diretta e indiretta”, in Consulenza Immobiliare sette 2018, Euroconference Editoria, Verona.

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notariato su legge stabilità

Un disegno di legge sottoposto alla Commissione Giustizia del Senato propone una rivoluzione nel recupero dei crediti: il decreto ingiuntivo emesso dall’avvocato.

Una novità che se divenisse legge consentirebbe di velocizzare la riscossione dei crediti diminuendone i costi ed aumentandone l’efficacia!

Su iniziativa dei senatori Ostellari, Romeo, Pillon, Pellegrini e Candura è stato recentemente sottoposto alla commissione di giustizia del Senato un disegno di legge che prevede di introdurre un nuovo procedimento monitorio da collocare nell’ambito dei cd. metodi alternativi di risoluzione delle controversie affiancandosi al procedimento monitorio tradizionale.

Lo scopo è quello di ridurre il sovraccarico di lavoro degli uffici giudiziari, velocizzare la riscossione dei crediti e ridurre i costi, venendo meno per il creditore l’onere di pagare il contributo unificato.

In luogo del giudice, spetterebbe direttamente al difensore accertare la sussistenza degli elementi dell’art. 633 c.p.c. ed emanare il provvedimento monitorio. Il quale non sarebbe munito di esecutorietà, almeno in questa prima fase.

A differenza dell’art. 641 c.p.c. verrebbe ingiunto al debitore di pagare entro 20 giorni anziché 40.

Al fine di evitare violazioni del principio del giusto processo e di autoresponsabilizzare il difensore, vengono previsti dal disegno di legge specifici obblighi di verifica preventiva dei presupposti per l’emanazione. Qualora essi non dovessero venire rispettati, se la violazione fosse caratterizzata da dolo o colpa, l’avvocato potrebbe essere suscettibile di illecito disciplinare dinanzi al competente ordine professionale, salva la responsabilità civile per i danni.

Per quanto riguarda l’opposizione al decreto ingiuntivo, essa andrebbe introdotta con ricorso e non con citazione in modo da abbreviare i tempi del procedimento.

Inoltre, il termine per proporre tale azione verrebbe dimezzato rispetto al procedimento ordinario e dopo l’intercorrere dei 20 giorni si potrebbe procedere con l’esecuzione forzata.

Infine, per rendere tale sistema maggiormente efficace, è stato proposto di anticipare il ricorso alla procedura di ricerca telematica dei beni del debitore, concedendo al difensore la facoltà di poterne fruire in modo diretto, senza necessitare dell’autorizzazione giudiziaria. Fermo restando che l’avvocato sarebbe deolontogicamente, civilmente e penalmente responsabile della custodia e conservazione delle informazioni apprese in tal circostanza, come dai principi in materia di tutela dei dati personali.

Di seguito riportiamo i testi delle norme che verrebbero così introdotte nel codice di procedura civile:

«CAPO I- BIS DEL PROCEDIMENTO DI INGIUNZIONE SEMPLIFICATO

Art. 656-bis. (Atto di ingiunzione di pagamento)

L’avvocato munito di mandato professionale, su richiesta dell’assistito che sia creditore di una somma liquida di danaro, emette un atto di ingiunzione di pagamento con cui ingiunge all’altra parte di pagare la somma dovuta nel termine di venti giorni, con l’espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione a norma degli articoli seguenti e che, in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata:

  1. a) se del diritto fatto valere si dà prova scritta ai sensi dell’articolo 634;
  2. b) se il credito riguarda onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione di un processo;
  3. c) se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale, oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata.

Nell’atto di intimazione sono quantificate le spese e le competenze e se ne ingiunge il pagamento.

Art. 656-ter.  (Verifica dei presupposti)

È onere dell’avvocato che emette l’ingiunzione, a pena di responsabilità civile e disciplinare, verificare la sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 656-bis.

Nel caso in cui l’avvocato ometta con dolo o colpa grave la puntuale verifica della sussistenza di tali requisiti, ne risponde disciplinarmente dinnanzi al competente ordine professionale e deve rimborsare le spese giudiziarie sostenute e i danni subiti dal soggetto erroneamente ingiunto. L’atto di ingiunzione è notificato a mezzo posta elettronica certificata o attraverso la notifica a mezzo posta.

Art. 656-quater. (Opposizione giudiziale)

L’opposizione si propone davanti all’ufficio giudiziario competente per valore con ricorso notificato all’avvocato che ha emesso l’ingiunzione di pagamento. Si applica per quanto compatibile la disciplina prevista degli articoli 645 e 647.

Art. 656-quinquies. (Esecuzione provvisoria in pendenza di opposizione)

Il giudice istruttore, se l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione, la rigetta con decreto motivato in prima udienza, senza svolgimento di alcuna istruttoria, concedendo, con ordinanza non impugnabile, l’esecuzione provvisoria dell’atto di ingiunzione. Il giudice ha l’obbligo di motivare la mancata condanna della parte soccombente ai sensi dell’articolo 96. Si applicano per quanto compatibili gli articoli 648, 650, 652, 653 e 654».

Art. 492-ter. (Ricerca preventiva con modalità telematiche dei beni da pignorare (ante causam))

Su istanza del creditore, il presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, autorizza la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. L’istanza deve contenere l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ordinaria e il numero di fax del difensore nonché, ai fini dell’articolo 547, dell’indirizzo di posta elettronica certificata. L’istanza può essere proposta preventivamente e prima dell’avvio di ogni azione giudiziaria volta al recupero del credito.

Fermo quanto previsto dalle disposizioni in materia di accesso ai dati e alle informazioni degli archivi automatizzati del Centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121, con l’autorizzazione di cui al primo comma il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato dispone che il difensore munito di apposita delega acceda mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre a esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti.

Terminate le operazioni, il difensore redige un unico processo verbale nel quale indica tutte le banche dati interrogate e le relative risultanze».

All’articolo 653 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Il giudice ha l’obbligo di motivare la mancata condanna della parte soccombente ai sensi dell’articolo 96».

https://www.laleggepertutti.it/260153_arriva-lingiunzione-di-pagamento-emessa-direttamente-dal-creditore 

https://www.studiolegaleborghesi.com/contatti/

disegno di legge 2018

Hai avuto degli insoluti nei pagamenti. Hai fatto tutto quello che potevi per tentare recuperare il credito ma le tue azioni, per una ragione o per un’altra, non hanno avuto esito positivo.

Oppure ti trovi nella situazione in cui il credito è talmente piccolo che non vale la pena intraprendere azioni per recuperarlo, anche perché magari quelle azioni si prefigurano superflue fin da subito per svariati motivi (debitore insolvente senza alcun patrimonio ecc..).

Ecco, in questi ed in altri casi potresti beneficiare dei vantaggi fiscali di porre a perdita nel bilancio d’esercizio della tua impresa i crediti insoluti.

Con questa operazione otterrai una riduzione del carico fiscale e, quindi, di fatto un recupero di quei crediti, almeno parziale! Giusto?

Se ti trovi in una di queste situazioni, ai fini di ridurre il carico fiscale, nella redazione del bilancio di esercizio è di fondamentale importanza dedurre le perdite su crediti, facendo in modo che esse non gravino ulteriormente sulla tua azienda anche sotto il profilo della tassazione.

Vediamo quali sono le regole fiscali che disciplinano la deduzione delle perdite su crediti.

Affinché tu possa dedurre le perdite sui crediti devono sussistere i criteri individuati dall’art. 101 co. 5 del Testo unico delle imposte sui redditi (cd. TUIR). Ai sensi della citata norma sono deducibili le perdite su crediti se:

risultano da elementi certi e precisi: il generico riferimento a tali elementi implica la necessità di ricorrere ad una valutazione caso per caso che dimostri la definitività della perdita e tenga conto del contesto specifico. Per verificare se siamo in presenza di elementi certi e precisi, come elementi probatori possiamo avere la fuga o la latitanza del debitore; l’esito negativo del pignoramento; l’infruttuosa azione legale esperita; la documentazione che certifichi la mancanza di beni immobili e mobili del debitore;

in ogni caso se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o ha concluso un piano attestato di risanamento o è assoggettato a procedure estere equivalenti;

in ogni caso se il credito è di modesta entità ed è scaduto da più di sei mesi: il credito si considera di modesta entità quando ammonta ad un importo non superiore a 5.000 euro iva compresa per le imprese di più rilevante dimensione (con ricavi sopra i 100 milioni di euro) e non superiore a 2.500 euro iva compresa per le altre imprese (quindi con ricavi al di sotto dei 100 milioni di euro);

quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto: salvo i casi in cui la legge dispone diversamente, i crediti si estinguono con il decorso di dieci anni, a meno che in questo periodo non siano intervenuti atti interruttivi della prescrizione ai sensi dell’art. 2943 del codice civile;

in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili. Queste ipotesi sono: prescrizione del diritto alla riscossione del credito indipendentemente dall’importo; cessione pro-soluto del credito che libera il cedente da ogni obbligo di pagare; transazione col debitore che comporta la riduzione definitiva del debito; atto di rinuncia unilaterale del credito.

 

Definitività della perdita.

La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 26/E del 2013 ha specificato che la perdita deve essere definitiva e tale definitività è rinvenibile solo quando si può escludere l’eventualità che in futuro il creditore riesca a realizzare, in tutto o in parte, la partita creditoria. Diversamente, nel caso in cui sia possibile ritenere che l’inesigibilità del credito rappresenti una condizione solo temporanea, non sussistono i requisiti di definitività della perdita e questa rientra nella categoria delle perdite “potenziali”.

 

Antieconomicità della procedura di recupero.

La stessa Circolare, poi, ha riconosciuto che è condizione sufficiente per la deducibilità della perdita l’antieconomicità delle azioni di recupero, a patto che il contribuente abbia almeno fatto un tentativo per ottenere quanto gli spetta di diritto.

 

Periodo d’imposta in cui è possibile dedurre la perdita su crediti

Inoltre, l’Agenzia ha fornito importanti precisazioni riguardanti l’individuazione del periodo di imposta in cui è possibile dedurre dal reddito la perdita su crediti che deriva da procedure concorsuali: in caso di procedure concorsuali il legislatore considera integrati i requisiti di deducibilità -dalla data- della sentenza o del provvedimento di ammissione alla specifica procedura o del decreto di omologa dell’accordo di ristrutturazione. Al riguardo, pertanto, si ritiene che, una volta aperta la procedura, l’individuazione dell’anno in cui dedurre la perdita su crediti deve avvenire secondo le ordinarie regole di competenza”.

Principio generale è quello per cui la perdita deve essere dedotta nell’esercizio in cui si sono manifestati gli elementi certi e precisi riguardanti l’irrecuperabilità dei crediti. Infatti, se viene iscritta in bilancio nell’esercizio precedente essa diventa non deducibile. Così come se non viene imputata a conto economico nell’esercizio medesimo, questa diventa irrecuperabile.

 

Eccezioni

Tuttavia, a tale principio vi sono delle eccezioni.

Il Decreto legislativo 147/2015, cd. decreto Internazionalizzazione, ha introdotto delle modifiche atte a fare chiarezza sulla disciplina delle perdite su crediti. In particolare il decreto è intervenuto modificando l’articolo 101 del Testo unico delle imposte sui redditi, a cui ha aggiunto il comma 5 bis, nel quale si stabilisce che la deduzione della perdita su crediti è ammessa nel periodo di imputazione di bilancio, anche se tale imputazione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui sussistono gli elementi certi e precisi richiamati dal comma 5 o quello in cui il debitore è assoggettato a procedura concorsuale o assimilati. A patto che l’imputazione non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione dal bilancio.

È possibile, inoltre, dedurre la perdita su crediti quando questi siano divenuti irrecuperabili in modo definitivo, come quando la diffida non ha dato i risultati sperati oppure se i tentativi esperiti dall’avvocato per recuperare il credito sono risultati vani.

Se dunque ti trovi in una dei queste situazioni puoi dedurre le perdite su crediti ed avere vantaggi fiscali.

È molto importante, tuttavia, effettuare almeno un tentativo di recupero, più o meno pregnante, a seconda della situazione, per questo è consigliabile affidare la gestione dei crediti insoluti a chi è veramente esperto in questa materia.

 

Art 101 TUIR

Circolare n. 26 del 1° agosto 2013

Decreto internazionalizzazione

Se non riesci a recuperare i tuoi crediti aziendali è perché sicuramente potresti trovarti in una di queste situazioni.

  1. Hai agito troppo tardi

Nell’azione di recupero crediti è fondamentale il tempismo.

Probabilmente non sei riuscito a recuperare il tuo credito perché hai iniziato l’azione di recupero troppo tardi.

Nella maggior parte dei casi il debitore ha debiti anche con altre persone o aziende e, quindi, se ci sono i presupposti per iniziare l’azione di recupero, specialmente quella giudiziale, meglio iniziarla un po’ prima piuttosto che un po’ dopo!

Questo perché, partendo dal presupposto che il mancato pagamento di un credito deriva da una certa scarsità di risorse finanziarie spesso accompagnata da un disordine organizzativo, se altri creditori si fanno avanti prima di te il tuo debitore potrebbe esaurire le risorse prima di soddisfare il tuo credito, almeno nell’immediato.

Non è un caso se da un’indagine statistica della Cribis D&B di cui parlo in un altro articolo di questa sezione

https://www.studiolegaleborghesi.com/2018/11/17/indagine-cribis-db-in-tema-di-insoluti-aziendali-e-ritardi-nei-pagamenti/

è emerso che una delle principali soluzioni adottate dalla maggioranza delle aziende per affrontare il problema degli insoluti è proprio quella di anticipare l’azione di recupero.

clicca qui se ti interessa il rapporto completo https://www.cribis.com/media/79659/pagamenti_cosa-dicono-le-aziende-italiane_2017.pdf

Quindi, uno dei motivi per cui non riesci a recuperare i tuoi crediti aziendali è perché potresti trovarti in questa situazione.

  1. Hai concesso dei tempi di pagamento troppo lunghi

La seconda situazione ricorrente è strettamente connessa alla prima e provoca un effetto a cascata.

Già, perché se a monte concedi ai tuoi clienti dei tempi eccessivamente lunghi per i pagamenti, tutta la procedura di verifica dell’insoluto, sollecito di pagamento, attesa di eventuali tempi di messa in mora, conclamarsi della situazione di insoluto, si sposta automaticamente troppo in avanti e si ricade nel caso di cui al punto 1.

 

  1. Non hai agito correttamente dal punto di vista contrattuale e quindi ti ritrovi a subire eccezioni d’inadempimento o opposizioni a decreto ingiuntivo

Se non hai agito bene dal punto di vista contrattuale potresti subire le eccezioni d’inadempimento del debitore che potrebbero porsi anche a fondamento della sua opposizione all’ingiunzione.

Cosa intendo con “non hai agito bene dal punto di vista contrattuale”?

Essenzialmente due cose:

1) potresti essere a tua volta inadempiente, ad esempio avendo fornito merce con vizi o se la tua obbligazione era di fare potresti non averla eseguita del tutto correttamente;

2) nel contratto potrebbero essere state inserite clausole a te sfavorevoli che ti limitano nell’azione (e qui richiamo all’assoluta importanza di fare contratti ben pensati!!!!)

Entrambe le situazioni pongono un ostacolo, talvolta insuperabile, all’azione di recupero del credito.

Mi spiego meglio.

Quanto alla prima situazione, nel caso in cui una parte sia inadempiente (come nel caso in cui, per esempio, il venditore consegni merce difettosa) l’altra parte (in questo caso chi deve pagare) può rifiutarsi di farlo mediante la c.d. eccezione d’inadempimento ed il suo rifiuto è perfettamente legittimo perché previsto da una precisa norma di legge, l’art. 1460 codice civile.

Quanto alla seconda situazione, rimandando ad altri articoli gli approfondimenti in materia di redazione di contratti, è sufficiente qui rappresentare che potrebbero essere state inserite nei contratti alcune clausole che favoriscono un contraente a discapito dell’altro e, quindi, all’atto della redazione e prima della sottoscrizione dei contratti è buona norma sottoporli a revisione da parte di un professionista competente.

Ebbene, come possono queste situazioni riverberare a sfavore del creditore?

Nel caso in cui l’azione di recupero venga fatta giudizialmente mediante ricorso per decreto ingiuntivo (rimando all’articolo sulla spiegazione di come si svolge l’azione di recupero https://www.studiolegaleborghesi.com/2018/11/17/come-si-svolge-il-recupero-dei-crediti-aziendali/) il debitore potrebbe far valere questo tipo di eccezioni “impugnando” il decreto ingiuntivo mediante proposizione di una causa di opposizione.

La causa di opposizione è una causa ordinaria – quindi talvolta assai lunga – nella quale si svolge una complicata fase istruttoria in cui le parti devono dimostrare le loro ragioni e termina con una sentenza.

E’ ovvio, quindi, che il creditore che ricade in queste situazioni subisce, nella migliore delle ipotesi, un grandissimo ritardo nell’esercizio dell’azione di recupero con le conseguenze già spiegate.

 

  1. Il tuo debitore non ha nulla da perdere

Questa situazione è un po’ il problema dei problemi.

Infatti puoi essere stato tempestivo, aver fatto tutte le azioni del caso, non aver subito eccezioni o cause di opposizione, ma se il tuo debitore non ha alcun bene mobile, immobile oppure crediti da potere aggredire mediante un pignoramento, difficilmente l’azione di recupero potrà avere esito positivo.

 

Ma vediamo come si possono arginare queste situazioni ed avere soddisfazione, in tutto o almeno in parte, dei crediti insoluti.

Vero è che la società debitrice potrebbe non avere alcun bene intestato o crediti da poter pignorare ma talvolta non bisogna disperare.

 

Se si tratta di società di persone (società in nome collettivo e società in accomandita semplice, per esempio), le persone fisiche dei soci (tutti nel caso della s.n.c., solo gli accomandatari nel caso di società in accomandita semplice), sono responsabili in proprio con tutto il loro patrimonio personale per le obbligazioni sociali. Quindi, dopo aver tentato il pignoramento alla società con esito negativo, possono essere pignorati i beni dei soci!

 

Fuori da questi casi, qualora ci fossero garanti della società, ci si può rivalere sul patrimonio di questi.

 

Un’altra azione che si può intraprendere nei confronti di una società debitrice dopo avere ricevuto esito negativo da un pignoramento e/o da un’analisi patrimoniale, è l’istanza di fallimento, qualora tale società rientri nei parametri fallimentari: capita non di rado che per evitare il fallimento, un terzo possa intervenire per saldare in tutto o in parte il debito della società.

 

Quando nessuno di questi rimedi posti per così dire “a valle” di un rapporto debitorio può essere esperito, la società creditrice che ha subito l’insoluto può valutare di recuperare fiscalmente la posizione.

https://www.studiolegaleborghesi.com/2018/12/02/quando-e-possibile-dedurre-a-bilancio-le-perdite-su-crediti-quali-sono-i-presupposti/

Ai fini di una migliore gestione finanziaria e pratica dell’attività di recupero crediti non bisogna sottovalutare l’opportunità di convenzionarsi con lo studio legale di propria fiducia. La convenzione può essere parametrata per soddisfare al massimo le esigenze del cliente al fine di evitare sorprese ed ottenere un controllo finanziario di tutta l’attività.

 

Ma cosa può fare la tua azienda “a monte” per arginare in tutto o almeno in parte il fenomeno degli insoluti?

Le migliori pratiche insegnano che “prevenire è meglio che curare” e che per arginare il fenomeno degli insoluti si può agire su alcune leve:

1) effettuare un più attento monitoraggio dei clienti;

2) prevedere una fase di recupero crediti anticipata;

3) anticipare quanto più possibile i termini di pagamento (anche se spesso è difficile data la situazione economica generale);

4) effettuare strategie di gestione su misura del cliente;

5) prevedere protocolli interni di gestione dei pagamenti;

6) utilizzare rapporti informativi prima di accettare un nuovo cliente.

 

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La difficile situazione economica ha impattato sulle aziende italiane pesantemente ed ha reso ancora più evidente e sentito il problema dei ritardi dei pagamenti e soprattutto quello degli insoluti.

Il recupero dei crediti insoluti è una necessità sempre più sentita dalle aziende.

In tema di crediti insoluti e ritardi nei pagamenti è interessante riportare i dati più significativi di un’indagine condotta da CRIBIS D&B su un campione di imprese.

L’indagine ha fatto emergere, tra gli altri, i  seguenti dati:

1) le principali problematiche causate dalla crisi economica sono state: riduzione del giro d’affari, maggiore richiesta di dilazione dei pagamenti e incremento del ritardo nei pagamenti da parte dei clienti;

2) le principali soluzioni adottate dalle imprese per rispondere alle problematiche generate dalla crisi sono: ricerca nuovi mercati di sbocco, ridefinizione delle strategie di gestione della clientela e lancio di nuovi prodotti;

3) i termini medi pagamento accordati ai Clienti sono di 60 giorni per il 47,9% del campione analizzato;

4) il tempo medio di pagamento si aggira fra i 61 ed i 90 giorni per il 37,7% del totale;

5) gli insoluti più significativi negli ultimi 12 mesi sono arrivati da clienti recenti (meno di 2 anni), ma vi è un dato altrettanto significativo per i clienti meno recenti (5 anni);

6) i principali strumenti usati per gestire i problemi nei pagamenti sono stati: un più attento monitoraggio dei clienti, una fase di recupero crediti anticipata e strategie diversificate per cliente;

7) il credit management si è concentrato principalmente sul decidere se accettare o meno un cliente e sul fare pianificazione con la direzione commerciale;

8) gli strumenti più utilizzati per il credit management sono i rapporti informativi (più del 69% del totale).

Nell’ottica del recupero crediti, il dato più significativo che si può trarre da questa indagine è certamente quello che rende assolutamente consigliabile non perdere tempo nell’iniziare le procedure di recupero crediti, proprio perché anticipare tale fase è sinonimo di maggiore efficacia della stessa.

 

Per saperne di più sulle fasi e sulle attività legali finalizzate al recupero dei crediti puoi leggere questo articolo:

 

Per il rapporto completo di Cribis D&B clicca questo link:

https://www.cribis.com/media/79659/pagamenti_cosa-dicono-le-aziende-italiane_2017.pdf

E’ indubbio che i ritardi nei pagamenti e gli insoluti sono il frutto di una situazione economica difficile nonché la causa di problemi talvolta anche gravi per le aziende.

Come si svolge l’attività di recupero dei crediti aziendali?

L’attività di recupero dei crediti aziendali si svolge essenzialmente in due modi, che costituiscono altrettanti fasi di una procedura.

Distinguiamo il recupero dei crediti cd. “stragiudiziale”, ossia quell’attività che si svolge senza il ricorso alle autorità giudiziarie, dal recupero crediti cd. “giudiziale”, ossia quell’attività che, viceversa, viene effettuata mediante ricorso alle “vie legali”.

Capiamo di cosa si tratta.

 

https://www.studiolegaleborghesi.com/contatti/

Il recupero crediti stragiudiziale.

E’ tutta quell’attività che si fa fuori dal giudizio (stra-giudiziale infatti) ovvero senza ricorrere all’autorità giudiziaria. L’impresa può avvalersi già da questa fase di uno Studio Legale oppure, se ha un ufficio legale interno o specifiche competenze, può svolgerla autonomamente.

E’ un’attività che può essere suddivisa in tre fasi:

– predisposizione ed invio di una lettera di messa in mora;

– contatto con il debitore;

– pagamento immediato o mediante un piano di rientro a rate.

La messa in mora è un’intimazione formale fatta per iscritto (quindi con una lettera) ed inviata al debitore in ritardo con il pagamento (o comunque con l’adempimento dell’obbligo a cui è tenuto) ed è il classico mezzo utilizzato come primo strumento per ottenere il pagamento del dovuto e, quindi, il recupero del credito.

Cosa deve contenere una lettera di messa in mora?

Nella lettera non posso mancare:

– i fatti: il creditore deve esporre minuziosamente i fatti che danno origine al suo credito cercando di essere il più dettagliato possibile (ad esempio, è buona norma indicare le date);

– l’oggetto: il creditore deve indicare chiaramente la sua richiesta, che può consistere, appunto, nel pagamento della somma dovuta;

– il termine: il creditore deve fissare un termine, che di regola non supera i 15 giorni, per la soddisfazione della sua richiesta;

– l’avvertimento espresso che in mancanza di pagamento si agirà per le vie legali. Si precisa, infatti, che spesso la lettera di messa in mora rappresenta il primo passo della cd. procedura giudiziale a cui segue quella esecutiva che consente al creditore di ottenere quanto gli spetta con la “forza” (forza pubblica e legale ovviamente, ossia quella rappresentata dall’Ufficiale Giudiziario che esegue il pignoramento).

Può essere interessante sapere che secondo l’art. 1219 del codice civile non è necessaria la costituzione in mora:

1) quando il debito deriva da fatto illecito

2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non volere eseguire l’obbligazione;

3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore.

E’ bene inviare la lettera di messa in mora con raccomandata con avviso di ricevimento (cosiddetta ricevuta di ritorno), anche se oggi si possono utilizzare anche le opportunità fornite dalla posta elettronica certificata. Vedremo in un apposito articolo come fare una regolare notifica o invio di comunicazioni a mezzo pec.

Cosa può succedere quando il debitore riceve una lettera di messa in mora?

1) Può decidere di pagare quanto dovuto immediatamente;

2) può fare un’offerta di pagamento parziale in un’unica soluzione, quindi pagamento immediato e parziale (cd. saldo e stralcio);

3) può proporre un pagamento totale o parziale a rate (cd. piano di rientro);

4) può rimanere inerte alla richiesta di pagamento.

Quanto al piano di rientro, è di fondamentale importanza che il creditore riesca a capire e percepire le reali necessità e condizioni del debitore al fine di trovare un accordo vantaggioso per entrambi.

Infatti, un creditore, nella predisposizione del piano, deve sostanzialmente porre l’attenzione su due fattori principali: la sostenibilità della rata ed il tempo.

Partendo da quest’ultimo punto, quanto più alta sarà la rata, tanto minore sarà il tempo con cui il debitore riuscirà a pagare il proprio debito.

Tuttavia, è molto importante tenere anche in considerazione la sostenibilità effettiva della rata. Infatti, il creditore, all’interno di una consulenza che porterà al piano di rientro, se si lascia ingannare dal tempo, volendo risolvere la posizione in tempi brevi, corre il rischio di concordare una rata di importo troppo elevato per il debitore indebitandolo ulteriormente ed il conseguente rischio di vedersi insolute le rate. Dunque conoscere la sostenibilità del piano è fondamentale per la sua buona riuscita.

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Recupero giudiziale

Nel caso in cui il recupero stragiudiziale dei crediti non sia andato a buon fine, si ha la possibilità di procedere per vie legali grazie allo strumento dell’ingiunzione di pagamento che si attua con il ricorso all’autorità giudiziaria – Tribunale o al Giudice di Pace, in dipendenza del valore – per ottenere il decreto ingiuntivo.

Con il decreto ingiuntivo il creditore di una somma di denaro certa, liquida ed esigibile, o di una determinata quantità di cose fungibili o chi ha diritto alla consegna di cosa mobile determinata, che sia in grado di provare per iscritto il proprio credito, può chiedere al giudice di ingiungere al debitore di provvedere, entro 40 giorni, al pagamento della somma o alla consegna del bene.

Il credito deve essere determinato nel suo ammontare (liquido), non sottoposto a termine (esigibile) e non contestato (certo).

Del diritto fatto valere si deve dare prova scritta e sono prove scritte idonee le polizze, le promesse unilaterali per scrittura privata, i telegrammi, gli estratti autentici delle scritture contabili, le parcelle dei professionisti come avvocati e commercialisti, assegni e cambiali e in generale tutti i documenti da cui risulti con certezza l’esistenza del diritto di credito. Per quanto riguarda le fatture commerciali, secondo la Corte di Cassazione, sentenza n. 9593/2004, esse si inquadrano fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito. In virtù di questo rapporto, qualora ve ne sia una contestazione, la fattura non può assurgere a prova del negozio ma costituisce al più un mero indizio.

Perciò, nel momento in cui il debitore decide di opporsi al decreto ingiuntivo, istaurando il relativo giudizio, il creditore, che quel decreto aveva ottenuto semplicemente presentando la fattura, dovrà dimostrare il proprio diritto in altro modo, ad esempio ricorrendo ad altri documenti o ai testimoni. [1]

A conferma di ciò, recependo l’orientamento di Cassazione ormai consolidato, anche il Tribunale di Parma con la recentissima sent. n. 1436/2017 ha stabilito che: “La fattura rappresenta idonea prova scritta del credito quale richiesta ex lege per l’emissione di un decreto ingiuntivo, sempre che ne risulti la regolarità amministrativa e fiscale; tuttavia, il valore probatorio della stessa in ordine alla certezza, alla liquidità e alla esigibilità del credito dichiaratovi, come ai fini della dimostrazione del fondamento della pretesa, viene meno nel giudizio di merito e anche in quello di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto, atteso che essa si inquadra tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito.

Di conseguenza, quando tale rapporto è contestato tra le parti, la fattura, anche se annotata nei libri obbligatori – proprio per la sua formazione a opera della stessa parte che intende avvalersene – non può assurgere a prova del contratto, al più può rappresentare un mero indizio della stipulazione di esso e dell’esecuzione della prestazione, ma nessun valore, neppure indiziario, può essere riconosciuto alla fattura in ordine alla rispondenza della prestazione stessa a quella pattuita, come gli altri elementi costitutivi del contratto.”

Altri documenti di fondamentale importanza per provare il credito sono i documenti di trasporto (o bolle di consegna) che attestano l’avvenuta consegna di una quantità di merce, in quanto sottoscritti da chi la riceve.

Competente per l’emissione del decreto ingiuntivo è il giudice di pace o il tribunale in composizione monocratica.

L’atto con cui si propone la domanda è il ricorso, che per l’art. 638 codice di procedura civile, deve contenere i requisiti indicati nell’art. 125 codice di procedura civile, che sono l’indicazione dell’ufficio giudiziario, il nome della parte e del procuratore, la domanda diretta al giudice (petitum), i fatti a sostegno di quella domanda (causa petendi) e le prove. Se sussistono tutte le condizioni per l’emissione del decreto ingiuntivo, il giudice, entro 30 giorni dal deposito, emette decreto motivato che contiene l’ingiunzione al debitore di pagare la somma richiesta o consegnare la cosa entro 40 giorni dalla notifica o di fare opposizione, sempre entro lo stesso termine. Scaduti i 40 giorni si procederà ad esecuzione forzata.

Il ricorso e il decreto sono notificati per copia autentica al debitore entro 60 giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento. E’ con la notifica che si determina la pendenza della lite.

Per l’art. 647 codice di procedura civile se non è stata fatta opposizione oppure l’opponente non si è costituito, il giudice dichiara esecutivo il decreto su istanza (anche verbale) del ricorrente.

In alcuni casi si può chiedere al Giudice che il decreto ingiuntivo venga emesso immediatamente esecutivo. Sono i casi previsti dall’art. 642 codice di procedura civile. In questi casi non occorre aspettare 40 giorni per mettere in esecuzione il titolo così ottenuto ma si può procedere subito con il pignoramento (previa notifica di atto di precetto) ed il termine di 40 giorni è concesso solo ai fini dell’opposizione.

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FASE ESECUTIVA

Una volta accertato il diritto del creditore inizia la fase esecutiva.

[1] https://www.laleggepertutti.it/151973_decreto-ingiuntivo-la-sola-fattura-prova-il-credito.

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Hai concluso un contratto ma, dopo la firma, ti sei reso conto che alcune clausole sono per te particolarmente svantaggiose?

E’ possibile che in alcuni casi tali clausole non abbiano effetto!

Questo può succedere quando il generico richiamo a tutta una serie di condizioni non ti abbia consentito di accorgerti del loro effettivo significato. In questo caso, come conferma la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, tali clausole possono essere ritenute prive di efficacia.

Prima della stipula di un contratto vi è tutta una serie di trattative fra le parti volte a determinare quale sarà il contenuto dell’obbligazione che queste si impegneranno a rispettare. In questa fase, spesso, accade che una delle due parti ha più potere contrattuale dell’altra; in genere è proprio questa parte che predispone il contratto con le relative clausole che l’altra parte si limita a sottoscrivere. In questi casi, il rischio è che il cosiddetto contraente debole venga sfavorito e si debba accollare condizioni contrattuali favorevoli all’altra parte.

Il nostro ordinamento contrasta fortemente queste situazioni e lo fa limitando la portata delle cd. clausole vessatorie. Sono tali quelle clausole che determinano a carico del contraente debole uno squilibrio dei diritti e obblighi che derivano dal contratto. Esse sono disciplinate all’articolo 1341 comma 2 del codice civile che così recita: “In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto, o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria”. Dunque, queste clausole particolarmente sfavorevoli per una parte, vanno approvate specificamente per iscritto per essere valide. Tuttavia, spesso, nei contratti queste clausole vengono richiamate solo in blocco e in modo generico. Se lo scopo della norma richiamata è quello di tutelare il contraente debole, facendo sottoscrivere a costui un determinato numero di clausole in blocco, l’interesse tutelato dalla norma viene violato: l’attenzione del contraente debole, infatti, in tal caso non viene riposta in modo adeguato sulle condizioni a lui più sfavorevoli, ma ne viene fatto solo un generico e sbrigativo richiamo che può indurlo in errore.

Recentemente la giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale Reggio Emilia, sez. II, 24/04/2018 n. 623) si è espressa in proposito confermando il consolidato indirizzo della Suprema Corte secondo cui: “non integra il requisito della specifica approvazione per iscritto ex art. 1341 comma 2 c.c. il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e quindi la loro sottoscrizione indiscriminata, poiché con tale modalità non è garantita l’attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole, in quanto ricompresa tra le altre richiamate: trattasi infatti di una modalità di approvazione della clausola vessatoria tale da rendere oggettivamente difficoltosa la percezione della stessa, giacché la genericità di tale riferimento priva l’approvazione della specificità richiesta dall’art. 1341 c.c., in quanto la norma richiede non solo la sottoscrizione separata, ma anche la scelta di una tecnica redazionale idonea a suscitare l’attenzione del sottoscrittore sul significato delle clausole specificamente approvate” (Cass. n. 9492/2012, Cass. n. 2970/2012, Cass. n. 24262/2008, Cass. n. 5733/2008, Cass. n. 7748/2007).

Dunque, ciò significa che un generico richiamo in blocco di tutte queste clausole vessatorie ne esclude la validità e le priva di efficacia anche se sono state munite di duplice sottoscrizione.

Ottime notizie per i conduttori di immobili ad uso commerciale: tutte le spese per gli interventi di manutenzione straordinaria sono deducibili dal reddito d’impresa. Lo dice la Corte di Cassazione con ben due interventi recentissimi costituiti dall’ordinanza n. 6288/2018 e dalla sentenza n. 16223/2018.

Ma procediamo con ordine.

Sono chiamate deduzioni fiscali quelle agevolazioni che determinano qual è la somma (cd. reddito imponibile) da usare come base per calcolare le tasse da versare al fisco.

In materia di locazione di immobili ad uso commerciale, nel 2011 la Corte di Cassazione aveva ritenuto che le spese per i miglioramenti di tipo straordinario apportati all’immobile non potessero essere deducibili dal reddito d’impresa perché in questo caso il vero beneficiario delle migliorie è il proprietario dell’immobile e non chi lo “affitta”.

Bada bene, stiamo parlando di interventi straordinari, cioè solo quelle modifiche dell’immobile che, ad esempio vanno a sostituire o rinnovare parti dell’edificio, ma che non vanno a cambiarne la sua destinazione d’uso.

Questa decisione del 2011 aveva suscitato molti dubbi perché si basava su un criterio di utilità per l’attività di impresa. In poche parole, si riteneva che i miglioramenti all’immobile non fossero davvero utili per la società conduttrice, ma solo per il proprietario che, alla scadenza del contratto, potrà effettivamente trarne un beneficio ritornando in possesso del suo immobile “ristrutturato” dal conduttore.

Ebbene, se la Cassazione era ritornata sulla questione già nello stesso 2011, ribaltando completamente la propria decisione e ritenendo che le spese per i lavori di ristrutturazione o miglioramento riguardassero direttamente l’attività d’impresa, a prescindere dalla proprietà dell’immobile, invece, l’Agenzia delle entrate non è stata di questo avviso. Questo, però, per motivi diversi.

In generale, quando si stipula un contratto di locazione, secondo l’articolo 1575 del codice civile, solo le operazioni di manutenzione ordinaria sono a carico del conduttore, mentre quelle di tipo straordinario sono sempre a carico del proprietario. Spesso, però, il proprietario si rifiuta di eseguire le opere di manutenzione straordinaria e così vengono realizzate a spese di chi prende in locazione l’immobile.

Se questo avviene senza un accordo scritto che preveda di modificare ciò che normalmente viene pattuito dall’articolo 1575 c.c., l’Agenzia delle Entrate ha tutto il diritto di dire che, successivamente, il proprietario potrebbe farsi carico delle spese rimborsando chi le ha pagate. In queste situazioni, proprio per evitare che l’Agenzia delle entrate riprenda a tassazione il pagato, è bene specificare in una apposita scrittura privata che le spese di manutenzione straordinaria saranno esclusivamente a carico del locatario e che non gli verranno restituite al termine del contratto. In questo modo è possibile dedurle dal reddito d’impresa, non essendo spese che giovano al proprietario, ma solo a chi esercita l’attività commerciale.

Un altro aspetto che l’Agenzia delle Entrate contestava riguardava la durata del contratto di locazione ad uso commerciale. Questo tipo di contratto infatti dura minimo 6 anni e si rinnova tacitamente di altri 6 anni salvo disdetta, a mezzo di lettera raccomandata, da comunicarsi al locatore almeno 12 mesi prima della scadenza. Nel momento in cui chi ha eseguito la manutenzione straordinaria all’immobile deve imputare a bilancio le spese sostenute, fino a poco fa, se non teneva conto del periodo di rinnovo del contratto non si vedeva dedotte le spese per le manutenzioni straordinarie.

Adesso, grazie ai due citati interventi della Corte di Cassazione del 2018, non è più così. Ora, infatti, in presenza di un piano di ammortamento (cioè di un piano di divisione delle spese per quote all’interno di più esercizi contabili) redatto in relazione alla durata della locazione si deve tenere conto solo della prima scadenza del contratto e non anche del periodo di rinnovo. Questo perché bisogna riferirsi alla concreta possibilità di utilizzazione delle opere in oggetto, non essendo affatto scontato che il contratto prosegua, poiché nelle locazioni ad uso commerciale il proprietario potrebbe decidere di recedere dal contratto ad esempio per necessità di uso personale dell’immobile.

In sintesi, dato che le opere di ristrutturazione straordinarie derivano dall’attività d’impresa e sono effettuate a spesa di chi la esercita nell’immobile, queste vanno dedotte dal reddito in base alla loro concreta possibilità di utilizzazione e quindi devono riferirsi al periodo di locazione in cui è sicuro che chi le ha realizzate possa usufruirne.

Dunque il periodo di ammortamento, in presenza dei presupposti descritti sopra, può essere addirittura contenuto in 6 anni.

Attenti però a redigere in maniera corretta la scrittura privata che specifica che le spese di manutenzione straordinaria saranno ad esclusivo carico del conduttore e non gli verranno restituite al termine del contratto.

Puoi trovare qui di seguito i due recenti provvedimenti della Corte di Cassazione: sent. n. 16223-2018   ordin. n. 6288-2018

Ti sei mai chiesto tecnicamente come nascono le obbligazioni? E quindi come nascono i diritti e i corrispondenti doveri?

Il codice civile all’art. 1173 ci fornisce la risposta.

Le obbligazioni, e quindi i diritti ed i corrispondenti doveri, possono nascere in tre modi:

1) dai contratti;

2) dai fatti illeciti;

3) da altri atti o fatti specifici a cui la legge riconnette l’insorgere di un obbligo.

Ci occuperemo approfonditamente di queste fonti, in particolare dei contratti e dei fatti illeciti, questi ultimi nella rubrica inerente al risarcimento del danno, ma qui di seguito appare interessante un breve accenno.

Contratti

Partiamo dai contratti. Perché sono fonte di obbligazioni?

Perché con i contratti le parti si accordano per uno scambio e, quindi, dovendoci essere uno scambio da questo accordo deriva il dovere delle parti di fare o dare un qualcosa all’altra parte ed il conseguente diritto di ricevere questa prestazione.

Si pensi al più diffuso contratto che è quello di vendita: cosa avviene? Uno scambio di cosa con prezzo.

Quindi da questo fenomeno vengono alla luce reciproci diritti e doveri: diritto a ricevere una somma di denaro, dovere di dare tale somma, diritto di ricevere la cosa comprata, dovere di consegnare quella cosa ecc..

Fatti illeciti

I fatti illeciti invece, per l’articolo 2043 del codice civile, sono quelle azioni fatte per mancanza di diligenza o con intenzione che provocano un danno ad un altro soggetto.

Questi tipi di fatti fanno nascere l’obbligo di risarcire il danno e, quindi, il conseguente diritto al risarcimento del danno subito.

Si pensi, ad esempio ad un incidente stradale in cui l’automobilista che attraversa l’incrocio con il verde viene urtato da un altro automobilista che passa con il rosso: da questo fatto illecito (perché contrario a norme di legge) nasce il diritto dell’automobilista che ha transitato con il verde di essere risarcito. Appare banale ma questa semplicità serve per fare comprendere il concetto.

Altri atti o fatti

Poi ci sono altri atti o fatti dai quali la legge fa derivare delle obbligazioni: ad esempio chi per errore ha fatto un pagamento non dovuto (indebito oggettivo art. 2033 c.c.) ha diritto alla restituzione di quanto ha pagato, ma gli esempi sono tantissimi.

Queste comunque sono le tre macro fonti delle obbligazioni.

 

Quando si parla di credito molti pensano al classico esempio della banca a cui si pagano le rate di mutuo!

Ed in effetti quello è un diritto di credito (categoria generale), più precisamente il diritto di ricevere una somma di denaro (categoria specifica).

Tratteremo approfonditamente la materia del credito inteso come diritto di ricevere una somma di denaro, ed in particolare del recupero del credito.

In questa rubrica spieghiamo alcuni aspetti della materia dei crediti che forse sfuggono ai più!

In generale il credito è il diritto di un soggetto di ricevere da un altro soggetto, una certa prestazione che può essere di dare, di fare o di non fare:

di dare (ho diritto di ricevere, e l’altra parte mi deve dare, una certa cosa ad esempio una somma di denaro, una macchina che ho acquisto, ecc..);

di fare (ho diritto di ricevere una certa azione fisica dall’altra parte, ad esempio la costruzione di un fabbricato);

di non fare (ho diritto a che l’altra parte non faccia un qualcosa, ad esempio non fare concorrenza).

Di diritti di credito si parla anche come di obbligazioni: sono sostanzialmente sinonimi.

Il soggetto che deve avere la prestazione è il creditore mentre chi deve eseguire quella prestazione è il debitore.

E’ interessante sapere che in molti casi si può essere al tempo stesso debitori e creditori dell’altra parte. Come è possibile?

Gli esempi sono infiniti e sono sotto ai nostri occhi tutti i giorni.

Per spiegare il concetto facciamo riferimento ad una di queste comuni situazioni.

Si pensi ad esempio ad un contratto di vendita di un’automobile. Sostanzialmente questo contratto è un accordo – fra il venditore ed il compratore – per il quale avviene questo scambio scambio:

il venditore dà una vettura al compratore – il compratore da una somma di denaro al venditore.

Il venditore ha un obbligo di dare la vettura pattuita e, quindi, è debitore  dell’acquirente, ma ha anche il diritto di ricevere il denaro a pagamento del prezzo della vettura, e quindi è creditore dell’acquirente.

Allo stesso tempo il compratore ha diritto di ricevere la vettura pattuita quindi è creditore  del venditore, ma ha anche il dovere di dare il denaro a pagamento del prezzo della vettura, e quindi è debitore del venditore.

In sostanza in questo tipo di rapporto obbligatorio – che per come è configurato viene chiamato a prestazioni corrispettive –  entrambe le parti sono obbligate (hanno appunto obbligazioni) nei confronti dell’altra.

In un rapporto come questo i diritti di credito sono molteplici ed ora abbiamo capito che i diritti ed i doveri sono le due facce di una stessa medaglia chiamata obbligazioni.

Quindi continuiamo per comodità a parlare di crediti come riferiti a somme di denaro, ma consapevoli che quello relativo ad una somma di denaro è un tipo di credito ma giuridicamente quando si parla di crediti ci si riferisce ad una categoria ben più ampia di fenomeni giuridici!

Proprio perché nella maggior parte dei contratti insorgono prestazioni corrispettive in cui si assume al tempo stesso la figura del debitore e quella del creditore, i contratti devono essere fatti in modo da assicurare la miglior tutela per la parte assistita. Ma di questo parleremo in un altro articolo!

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