E’ indubbio che i ritardi nei pagamenti e gli insoluti sono il frutto di una situazione economica difficile nonché la causa di problemi talvolta anche gravi per le aziende.

Come si svolge l’attività di recupero dei crediti aziendali?

L’attività di recupero dei crediti aziendali si svolge essenzialmente in due modi, che costituiscono altrettanti fasi di una procedura.

Distinguiamo il recupero dei crediti cd. “stragiudiziale”, ossia quell’attività che si svolge senza il ricorso alle autorità giudiziarie, dal recupero crediti cd. “giudiziale”, ossia quell’attività che, viceversa, viene effettuata mediante ricorso alle “vie legali”.

Capiamo di cosa si tratta.

 

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Il recupero crediti stragiudiziale.

E’ tutta quell’attività che si fa fuori dal giudizio (stra-giudiziale infatti) ovvero senza ricorrere all’autorità giudiziaria. L’impresa può avvalersi già da questa fase di uno Studio Legale oppure, se ha un ufficio legale interno o specifiche competenze, può svolgerla autonomamente.

E’ un’attività che può essere suddivisa in tre fasi:

– predisposizione ed invio di una lettera di messa in mora;

– contatto con il debitore;

– pagamento immediato o mediante un piano di rientro a rate.

La messa in mora è un’intimazione formale fatta per iscritto (quindi con una lettera) ed inviata al debitore in ritardo con il pagamento (o comunque con l’adempimento dell’obbligo a cui è tenuto) ed è il classico mezzo utilizzato come primo strumento per ottenere il pagamento del dovuto e, quindi, il recupero del credito.

Cosa deve contenere una lettera di messa in mora?

Nella lettera non posso mancare:

– i fatti: il creditore deve esporre minuziosamente i fatti che danno origine al suo credito cercando di essere il più dettagliato possibile (ad esempio, è buona norma indicare le date);

– l’oggetto: il creditore deve indicare chiaramente la sua richiesta, che può consistere, appunto, nel pagamento della somma dovuta;

– il termine: il creditore deve fissare un termine, che di regola non supera i 15 giorni, per la soddisfazione della sua richiesta;

– l’avvertimento espresso che in mancanza di pagamento si agirà per le vie legali. Si precisa, infatti, che spesso la lettera di messa in mora rappresenta il primo passo della cd. procedura giudiziale a cui segue quella esecutiva che consente al creditore di ottenere quanto gli spetta con la “forza” (forza pubblica e legale ovviamente, ossia quella rappresentata dall’Ufficiale Giudiziario che esegue il pignoramento).

Può essere interessante sapere che secondo l’art. 1219 del codice civile non è necessaria la costituzione in mora:

1) quando il debito deriva da fatto illecito

2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non volere eseguire l’obbligazione;

3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore.

E’ bene inviare la lettera di messa in mora con raccomandata con avviso di ricevimento (cosiddetta ricevuta di ritorno), anche se oggi si possono utilizzare anche le opportunità fornite dalla posta elettronica certificata. Vedremo in un apposito articolo come fare una regolare notifica o invio di comunicazioni a mezzo pec.

Cosa può succedere quando il debitore riceve una lettera di messa in mora?

1) Può decidere di pagare quanto dovuto immediatamente;

2) può fare un’offerta di pagamento parziale in un’unica soluzione, quindi pagamento immediato e parziale (cd. saldo e stralcio);

3) può proporre un pagamento totale o parziale a rate (cd. piano di rientro);

4) può rimanere inerte alla richiesta di pagamento.

Quanto al piano di rientro, è di fondamentale importanza che il creditore riesca a capire e percepire le reali necessità e condizioni del debitore al fine di trovare un accordo vantaggioso per entrambi.

Infatti, un creditore, nella predisposizione del piano, deve sostanzialmente porre l’attenzione su due fattori principali: la sostenibilità della rata ed il tempo.

Partendo da quest’ultimo punto, quanto più alta sarà la rata, tanto minore sarà il tempo con cui il debitore riuscirà a pagare il proprio debito.

Tuttavia, è molto importante tenere anche in considerazione la sostenibilità effettiva della rata. Infatti, il creditore, all’interno di una consulenza che porterà al piano di rientro, se si lascia ingannare dal tempo, volendo risolvere la posizione in tempi brevi, corre il rischio di concordare una rata di importo troppo elevato per il debitore indebitandolo ulteriormente ed il conseguente rischio di vedersi insolute le rate. Dunque conoscere la sostenibilità del piano è fondamentale per la sua buona riuscita.

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Recupero giudiziale

Nel caso in cui il recupero stragiudiziale dei crediti non sia andato a buon fine, si ha la possibilità di procedere per vie legali grazie allo strumento dell’ingiunzione di pagamento che si attua con il ricorso all’autorità giudiziaria – Tribunale o al Giudice di Pace, in dipendenza del valore – per ottenere il decreto ingiuntivo.

Con il decreto ingiuntivo il creditore di una somma di denaro certa, liquida ed esigibile, o di una determinata quantità di cose fungibili o chi ha diritto alla consegna di cosa mobile determinata, che sia in grado di provare per iscritto il proprio credito, può chiedere al giudice di ingiungere al debitore di provvedere, entro 40 giorni, al pagamento della somma o alla consegna del bene.

Il credito deve essere determinato nel suo ammontare (liquido), non sottoposto a termine (esigibile) e non contestato (certo).

Del diritto fatto valere si deve dare prova scritta e sono prove scritte idonee le polizze, le promesse unilaterali per scrittura privata, i telegrammi, gli estratti autentici delle scritture contabili, le parcelle dei professionisti come avvocati e commercialisti, assegni e cambiali e in generale tutti i documenti da cui risulti con certezza l’esistenza del diritto di credito. Per quanto riguarda le fatture commerciali, secondo la Corte di Cassazione, sentenza n. 9593/2004, esse si inquadrano fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito. In virtù di questo rapporto, qualora ve ne sia una contestazione, la fattura non può assurgere a prova del negozio ma costituisce al più un mero indizio.

Perciò, nel momento in cui il debitore decide di opporsi al decreto ingiuntivo, istaurando il relativo giudizio, il creditore, che quel decreto aveva ottenuto semplicemente presentando la fattura, dovrà dimostrare il proprio diritto in altro modo, ad esempio ricorrendo ad altri documenti o ai testimoni. [1]

A conferma di ciò, recependo l’orientamento di Cassazione ormai consolidato, anche il Tribunale di Parma con la recentissima sent. n. 1436/2017 ha stabilito che: “La fattura rappresenta idonea prova scritta del credito quale richiesta ex lege per l’emissione di un decreto ingiuntivo, sempre che ne risulti la regolarità amministrativa e fiscale; tuttavia, il valore probatorio della stessa in ordine alla certezza, alla liquidità e alla esigibilità del credito dichiaratovi, come ai fini della dimostrazione del fondamento della pretesa, viene meno nel giudizio di merito e anche in quello di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto, atteso che essa si inquadra tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito.

Di conseguenza, quando tale rapporto è contestato tra le parti, la fattura, anche se annotata nei libri obbligatori – proprio per la sua formazione a opera della stessa parte che intende avvalersene – non può assurgere a prova del contratto, al più può rappresentare un mero indizio della stipulazione di esso e dell’esecuzione della prestazione, ma nessun valore, neppure indiziario, può essere riconosciuto alla fattura in ordine alla rispondenza della prestazione stessa a quella pattuita, come gli altri elementi costitutivi del contratto.”

Altri documenti di fondamentale importanza per provare il credito sono i documenti di trasporto (o bolle di consegna) che attestano l’avvenuta consegna di una quantità di merce, in quanto sottoscritti da chi la riceve.

Competente per l’emissione del decreto ingiuntivo è il giudice di pace o il tribunale in composizione monocratica.

L’atto con cui si propone la domanda è il ricorso, che per l’art. 638 codice di procedura civile, deve contenere i requisiti indicati nell’art. 125 codice di procedura civile, che sono l’indicazione dell’ufficio giudiziario, il nome della parte e del procuratore, la domanda diretta al giudice (petitum), i fatti a sostegno di quella domanda (causa petendi) e le prove. Se sussistono tutte le condizioni per l’emissione del decreto ingiuntivo, il giudice, entro 30 giorni dal deposito, emette decreto motivato che contiene l’ingiunzione al debitore di pagare la somma richiesta o consegnare la cosa entro 40 giorni dalla notifica o di fare opposizione, sempre entro lo stesso termine. Scaduti i 40 giorni si procederà ad esecuzione forzata.

Il ricorso e il decreto sono notificati per copia autentica al debitore entro 60 giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento. E’ con la notifica che si determina la pendenza della lite.

Per l’art. 647 codice di procedura civile se non è stata fatta opposizione oppure l’opponente non si è costituito, il giudice dichiara esecutivo il decreto su istanza (anche verbale) del ricorrente.

In alcuni casi si può chiedere al Giudice che il decreto ingiuntivo venga emesso immediatamente esecutivo. Sono i casi previsti dall’art. 642 codice di procedura civile. In questi casi non occorre aspettare 40 giorni per mettere in esecuzione il titolo così ottenuto ma si può procedere subito con il pignoramento (previa notifica di atto di precetto) ed il termine di 40 giorni è concesso solo ai fini dell’opposizione.

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FASE ESECUTIVA

Una volta accertato il diritto del creditore inizia la fase esecutiva.

[1] https://www.laleggepertutti.it/151973_decreto-ingiuntivo-la-sola-fattura-prova-il-credito.

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